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08 novembre 2022

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David Quammen: un delfino, una focena e due uomini hanno avuto l’influenza aviaria. Un avvertimento per tutti

Categoria: Sanità animale

David Quammen: un delfino, una focena e due uomini hanno avuto l’influenza aviaria. Un avvertimento per tutti

All’inizio di settembre, gli scienziati dell’Università della Florida hanno confermato che un delfino –trovata morto in un canale della Costa del Golfo (in Florida ndt) a marzo scorso– presentava un tipo di influenza aviaria altamente patogeno. Aveva un’infiammazione cerebrale.

Come indica il nome stesso, il virus dell’influenza aviaria è molto abile nel contagiare gli uccelli, ma talvolta si spinge più lontano. Pochi mesi dopo la morte del delfino, un altro mammifero marino – una focena – è stato trovato spiaggiato e in fin di vita sulla costa occidentale della Svezia. Successivamente, la focena è deceduta, colpita dal medesimo virus. Tra questi due casi, c’era stato uno preoccupante in Colorado: dove un uomo è risultato positivo all’influenza aviaria. Era un carcerato che, in attesa della scarcerazione, partecipava all’abbattimento di avicoli in un allevamento colpito dall’infezione.

Analisi successive hanno messo in dubbio l’effettivo contagio del soggetto, essendo possibile che il tampone di controllo avesse semplicemente rilevato una elevata carica di virus nel suo naso. Tuttavia, non si è trattato dell’unico caso di essere umano risultato positivo all’influenza aviaria – specificamente l’H5N1 – l’anno scorso. A Natale 2021 anche un britannico di 79 anni, che viveva in contatto stretto con una ventina di anatre di sua proprietà, è risultato positivo al virus dell’influenza aviaria.

Se questi quattro eventi – un delfino morto, una focena morta, due uomini risultati positivi a un pericoloso virus aviario – non sembrano in relazione tra loro e appaiono insignificanti, forse dipende dal fatto che non avete sentito parlare di “viral chatter” (chiacchiericcio virale – vibrazione virale ndt) . L’espressione è stata coniata vari decenni fa dal dottor Donald Burke, un veterano della ricerca sulle malattie infettive ed ex rettore della University of Pittsburgh Graduate School of Public Health, e fa riferimento al momento in cui un virus effettua in modo episodico un salto di specie, passando da animali selvatici a esseri umani e provocando occasionalmente piccole catene di contagi. È un segnale d’allarme che spesso viene riconosciuto troppo tardi.

«L’idea di chatter – mi ha detto il dottor Burke circa undici anni fa –è fondamentalmente l’emissione di un segnale periodico attraverso il confine fra specie”. Virus degli uccelli che si riversano nei mammiferi. Virus dei pipistrelli che si riversano negli uomini. Generalmente questi contagi occasionali arrivano a un punto morto, il che è un bene. Ma l’“occasionalità” sta a significare anche che lo schema si ripete, il che è male – o quanto meno minaccioso. Ciò che questo schema segnala alle persone accorte, come il dottor Burke, è che un dato virus “vuole” riversarsi attraverso il divario tra ospiti animali ed esseri umani e diffondersi ovunque.

Dire che un virus “vuole” qualcosa è antropomorfismo, naturalmente, perché i virus non hanno intenzionalità. È soltanto la mera opportunità, e non l’intenzione malvagia, a determinare il loro comportamento. Ma l’antropomorfismo può tornare utile. Il “chiacchiericcio” di H5N1 indica che il virus sta esplorando le sue prospettive tra i mammiferi. Faremmo bene a ricordare che fra i mammiferi siamo inclusi anche noi.

Gli esperti di malattie si pongono fanno due domande sul “viral chatter”: stiamo ascoltando abbastanza per capire quello che dice il chiacchiericcio? E siamo pronti ad agire?

Non ogni persona contagiata diventa il paziente zero di un’epidemia considerevole, per non parlare di una pandemia. Tuttavia, quanti più casi si presentano – tanti più c’è chiacchiericcio virale – maggiore è la possibilità che un’infezione porti alla catastrofe. Gli esseri umani vivono molto vicini tra loro e sono interconnessi, il che significa che rappresentiamo una delle più grandi opportunità per qualsiasi virus in grado di contagiare i mammiferi.

H5N1 è soltanto uno di numerosi sottotipi di influenza aviaria che sono passati all’uomo negli ultimi decenni, e le influenze sono soltanto uno dei tipi di virus sono capaci di effettuare il salto tra specie. Ovviamente, altri sono i coronavirus.

Quando l’epidemia di Sars termino nel luglio 2003, sembrò che il virus fosse eradicato fra gli esseri umani – anche se continuava a esistere in natura. Però, quando si presentarono quattro nuovi casi fra dicembre 2003 e gennaio 2004, si scoprì che il virus aveva effettuato di nuovo un salto di specie, presumibilmente in un ristorante dove si tenevano in gabbia zibetti delle palme (ospiti intermedi del virus) serviti come pietanza. Ciò portò a due casi di salto di specie riconosciuti del virus Sars in un anno. Quanti altri non sono stati individuati?

Il virus Nipah, per fare un altro esempio, fu individuato per la prima volta tra gli esseri umani in Malesia nel 1998, quando dai pipistrelli reservoir del virus passo ai maiali e da questi agli allevatori di suini e ai commercianti di carne di maiale. I pipistrelli della frutta, serbatoi del virus sono molto diffusi un po’ ovunque in Asia meridionale e da allora il virus Nipah ha provocato decine di focolai in Bangladesh e in India orientale. Il suo tasso di letalità arriva ben al 75 per cento ma, per nostra fortuna, non si trasmette facilmente da persona a persona. La sua prossima iterazione può darsi che lo faccia… Riuscite a sentire il chiacchiericcio?

«Non pretendo di essere un veggente» mi disse il dottor Burke. “Previsione”, disse, era una parola già molto forte per quello che aveva fatto. «In ogni caso, si può affermare che da quella zona si sentono arrivare delle voci; che si tratta di una zona pericolosa e che questi sono i virus che ci preoccupano». Le previsioni informate sulle aree a rischio rendono possibili due aspetti importanti per la prevenzione di una pandemia: la sorveglianza dei contagi più criptici e dei focolai incipienti per comprenderli il prima è possibile intervenire e una risposta efficace e immediata per contenere i contagi e prima che si diffondano.

La necessità di una solida sorveglianza sui virus non è nuova. Subito dopo che fu fondata nel 1948, l’Organizzazione Mondiale della Sanità predispose un Sistema globale di sorveglianz e risposta sull’influenza e un sistema di intervento (Global Influenza Surveillance and Response System), una rete di laboratori e di centri di coordinamento deputati a identificare e rintracciare i ceppi influenzali, registrarne i trend e monitorare gli interventi di sanità pubblica nel mondo. Questo sforzo coinvolge oggi rilevanti istituzioni di primaria importanza in 124 Stati membri dell’Oms e per la condivisione a livello globale di dati genetici ed epidemiologici. Nel 2000, nella preoccupazione crescente per altri virus emergenti, i membri dell’Oms hanno creato qualcosa di più ambizioso ancora, la Rete globale di allerta e risposta alle epidemie (Global Outbreak Alert and Response Network), ideata per aiutare i Paesi nei quali dovessero presentarsi dei focolai locali per prevenire la diffusione a livello globale.

Ci sono state molte iniziative organizzative da allora, ma recentemente ho parlato con cinque eminenti ricercatori sull’influenza aviaria di varie parti del mondo, chiedendo a ciascuno di essi un parere sulla sorveglianza, e ho ottenuto in risposta cinque variazioni di “non è adeguata”.

Uno dei modi migliori per effettuare la sorveglianza è quello di analizzare il sangue e altri campioni biologici delle persone apparentemente sane che vivono in situazioni di rischio, come gli allevatori di pollame o di suini (che possono fungere da intermediari per i virus influenzali) i lavoratori dei mercati dove si vendono animali vivi in gabbia, uccelli e mammiferi che emettono deiezioni e condividono l’aria in un ambiente confinato. Un altro elemento chiave della sorveglianza è la campionatura preventiva degli animali selvatici con i quali gli esseri umani vengono in contatto: prede catturate dai cacciatori, i roditori che infestano gli edifici, anatre e oche selvatiche che si mescolano ai loro simili domestici nelle mangiatoie o negli specchi d’acqua all’aperto. In parte già lo si fa, in alcune comunità e situazioni commerciali, ma, secondo gli esperti in materia, non lo si fa abbastanza.

I motivi dell’inadeguatezza comprendono errori delle organizzazioni, finanziamenti limitati, aspetti economici dell’industria avicola, il mercato nero degli animali selvatici e il timido impegno da parte dei governi nazionali e locali. C’è anche scarsità di tecnici e di veterinari adeguatamente formati nei paesi a basso reddito, la resistenza a condividere informazioni e dati e una certa opposizione allo screening dei soggetti sani ma a rischio e infine sospetto reciproco (esacerbato dall’esperienza con la Covid-19) tra le nazioni più potenti e con buone risorse.

L’inadeguatezza è deplorevole e pericolosa. Viviamo in un mondo di virus, che vivono in creature cellulari di ogni tipo: animali, piante, funghi, protozoi, batteri e altri microbi. Centinaia di migliaia di questi virus dei mammiferi e degli uccelli possono avere il potenziale per contagiare un uomo. Quest’uomo potrebbe essere in grado di trasmettere il virus a un’altra persona, e poi a un’altra e un’altra ancora. Se non sentiamo il chiacchiericcio è soltanto perché non stiamo ascoltando attentamente.

David Quammen su The New York Times 31 ottobre 2022

Traduzione a cura della segreteria SIVeMP