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I ‘Wet market’ e i Coronavirus, approfondimento dei docenti di Malattie Infettive del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università degli Studi di Torino.

Categoria: Istituzioni, Sanità animale

wet market


“Care studentesse e cari studenti,

Il clamore mediatico che ha suscitato la nostra lettera, devo essere sincero, ci ha un pò spiazzato. Non amiamo i riflettori ma sentiamo il bisogno di ringraziarvi di cuore per il contributo che avete dato all’invito a condividere. Per una volta, la veterinaria si è fatta sentire. Accogliamo volentieri la sfida, sicuri che con il vostro aiuto, si possa dare un buon servizio alla collettività, accrescendo la percezione del ruolo sociale della vostra futura professione. Abbiamo pensato di continuare il filo diretto con voi scrivendovi una seconda lettera. L’obiettivo è sempre lo stesso, ovvero alimentare la vostra consapevolezza come abili e preparati comunicatori. L’idea di oggi, anche in un’ottica “one health”, è quella di definire meglio il peccato originale, ovvero le condizioni all’origine delle principali epidemie degli ultimi anni.

un caro saluto

Sergio Rosati e Luigi Bertolotti

IL PECCATO ORIGINALE

Siamo ancora in piena emergenza e già si sta cercando il colpevole, colui che rischia di mettere in ginocchio l’economica mondiale. Si parla di ritardo nella diffusione delle informazioni alla comunità internazionale; di virus sfuggiti dal laboratorio, sviluppati per chissà quale motivo; di cosa si poteva fare e cosa non si doveva fare; di un’emergenza creata ad arte per diffondere il panico. Viviamo in un mondo globalizzato, ipertecnologico, che scopre all’improvviso il suo lato debole, che si dimostra indifeso verso le minacce più antiche (le malattie). Noi siamo virologi e da virologi parliamo, lasciando ad altri in compito di sviscerare gli aspetti antropologici. Ed un colpevole lo abbiamo trovato: il wet market, da cui originano quasi tutti i virus pandemici degli ultimi decenni.

I wet market sono mercati, tipicamente asiatici, con esposizione di animali vivi, domestici e selvatici che, mantenuti in promiscuità, vengono macellati in condizioni igieniche discutibili e venduti crudi o cotti. Anche in Africa centrale abbiamo qualcosa di simile: pipistrelli frugivori e scimmie, cacciati e consumati dalle genti del luogo.

Come vedremo dopo nell’approfondimento, questi ambienti rappresentano un’ottima occasione per i virus e le loro varianti, permettendo quei salti necessari per “agganciare” nuovi ospiti.

E’ probabile che particolari abitudini alimentari siano radicate nelle tradizioni di alcuni popoli e che occasionalmente, in passato, abbiamo dato origine a piccoli focolai epidemici che si sono auto-estinti velocemente. L’auto-estinzione è ovviamente un evento sfavorevole per i virus, soprattutto per i più patogeni perché, uccidendo il nuovo ospite, non viene garantita la conservazione della specie (virale). L’ospite muore ed il virus al di fuori di questo non sa fare proprio nulla. L’auto-estinzione può avvenire anche per virus meno aggressivi, in ragione dell’immunità di popolazione che, aumentando progressivamente nei soggetti che superano l’infezione, rallenta l’epidemia fino a spegnerla. Ovviamente più è piccolo il numero di persone più rapidamente si ottiene questo risultato. Tutto ciò accadeva molto tempo fa, in villaggi sperduti della Cina rurale o nei piccoli agglomerati di capanne dell’Africa centrale.

A partire dagli anni ’70, si è assistito alla progressiva migrazione dei popoli verso le grandi aree urbane, densamente popolate, trascinandosi con sé le abitudini alimentari ed i rischi collegati. Le diverse epidemie di Ebola, di nuovi sottotipi di virus influenzale e di coronavirus associati a sindromi respiratorie gravi sono quindi emerse in contesti demografici molto più complessi in cui le misure di contenimento richiedono uno sforzo immane.

Ogni cambiamento delle condizioni di vita dell’uomo, degli animali domestici e selvatici, che oggi avviene a ritmi sempre più rapidi, porta a conseguenze difficili da prevedere. Nel futuro, speriamo prossimo, avremo qualche elemento in più per riflette sul modello di società che ci siamo scelti.

APPROFONDIMENTO

I Coronavirus, così come i virus influenzali, possiedono un genoma a RNA. Una caratteristica che li accomuna è la straordinaria capacità di mutare a causa della scarsa fedeltà degli enzimi deputati alla duplicazione del loro genoma. Durante la replicazione, alcuni virus mutano talmente tanto che più del 70% delle nuove particelle virali risulta difettivo (non “funzionante”).

Quello che sembra essere un difetto è in realtà un forte vantaggio evolutivo perché permette al patogeno di adattarsi a nuovi tessuti, a nuovi ospiti o tentare di eludere la risposta immunitaria. Infatti, mutazioni a livello genetico possono tradursi in sostituzioni aminoacidiche, modificando le proteine virali necessarie alla prima fase della replicazione virale, ovvero l’adesione sulla cellula ospite. Inoltre, i virus che presentano un genoma segmentato come il virus dell’influenza, possono mutare in modo ancora più eclatante e rapido, scambiando interi segmenti del genoma. Questo processo, detto riassortimento, è alla base dell’emergenza delle nuove epidemie influenzali.

Normalmente questi virus si trasmettono all’interno di un ciclo che vede nell’animale selvatico il principale ospite, co-evolvono con esso, spesso senza provocare sintomi particolarmente eclatanti (tipicamente replicano nel tratto intestinale, senza un significativo coinvolgimento della risposta immunitaria). Questo è frutto di lunghi periodi di coabitazione e di adattamento, sia da parte dei virus che degli ospiti, ed è la conseguenza di una stabilità genetica, in assenza di possibili pressioni selettive da parte del sistema immunitario.

L’abitudine all’ospite tuttavia non impedisce al virus di mutare: se nel ciclo naturale si inseriscono attori diversi, questi possono rappresentare nuovi ospiti per le varianti mutate.

Questo è quello che molto probabilmente è successo all’inizio di Covid2019: i betacoronavirus infettano normalmente i pipistrelli. La promiscuità con altre specie animali ha permesso quello che in termini tecnici è chiamato spillover, ovvero il salto di specie.

Un virus riesce difficilmente a passare dal pipistrello all’uomo o, come nel caso dell’influenza, dal volatile all’uomo (salvo qualche eccezione). I virus hanno bisogno di adattarsi a specie animali più “vicine” da un punto divista genetico, in modo che piccole mutazioni possano essere sufficienti a infettare un nuovo ospite e, con il passare del tempo, a essere anche trasmesso in modo efficiente.

Qui entrano in gioco animali come lo zibetto (un carnivoro selvatico), camelidi, o il suino come per alcuni virus dell’influenza. Piccoli salti, ma che portano il virus a essere trasmesso all’uomo e, soprattutto ad entrare nel circuito di trasmissione interumana.

Il modo migliore per favorire questo meccanismo è aumentare le probabilità di contatto ed i wet market sono appunto il fulcro epidemiologico ideale.”




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