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Verso il 51° Congresso Nazionale

60 anni di SIVeMP e la Next-Generation

AGENDA 2030 PER LA VETERINARIA PUBBLICA

Categoria: Congresso, Dalla Segreteria Nazionale, Google News



Il 18 maggio 2022, nell’ambito del 51° Congresso Nazionale (“Agenda 2030 per la Veterinaria Pubblica” Roma, 18-20 maggio 2022), festeggeremo i 60 anni del nostro sindacato. Un traguardo importante, un passaggio veramente storico se si pensa alle diverse generazioni che hanno vissuto questa esperienza e alle conquiste che il sindacato ha portato alla nostra categoria.

I tempi in 60 anni sono radicalmente cambiati, tutto sembra più difficile, la motivazione è meno vibrante, le aspettative sono state in gran parte saziate o sembrano diventate troppo ardue.

Occorre elaborare un pensiero strategico, occorre una nuova spinta propulsiva e occorre avere un quadro chiaro della situazione socio-politica in cui si agisce e si dovrà agire in futuro.

Una Next-Generation SIVeMP deve prendere parte a questa fase di rinnovamento, ma deve farlo su basi culturali solide, conoscendo i fattori che insistono sulle politiche del lavoro, aggregando esperienze antiche a motivazioni nuove.

Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito all’ascesa globale di un nuovo fenomeno politico che si potrebbe descrivere genericamente come populismo autoritario.

Questo progetto politico ha generato una grande fascinazione anche nel nostro paese, superando le classiche distinzioni destra/sinistra. Una politica farraginosa, ondivaga e inconcludente ha lasciato il campo libero ad un’ipotesi antipolitica.

Orbene occorre porsi una domanda: come è possibile che i lavoratori avallino una stagione politica che indebolisce qualsiasi forma di processo decisionale collettivo in un paese come l’Italia che ha un grande movimento sindacale radicato nella storia della nostra democrazia repubblicana?

Come è possibile che i lavoratori di ogni settore non si chiedano quanto aver ceduto spazi di confronto democratico favorisca l’emarginazione del sindacato e, in ultima analisi, quanto questo processo invada il campo dei loro diritti e del loro potere negoziale?

Essere, quindi, stupiti che i sindacati di cui noi facciamo parte abbiano minori spazi di agibilità politica e negoziale quando noi stessi disprezziamo la partecipazione politica, quando noi stessi – pur delusi dal personale politico che abbiamo dovuto votare – apprezziamo scenari decisionisti e scelte sbrigative contro ciò che ci hanno detto disturbi la nostra serenità come appunto “la politica”, l’immigrazione o l’Euro, è abbastanza contraddittorio.

Si diceva: la libertà è partecipazione, la democrazia è partecipazione.

Il sindacato è tutte queste cose solo se conserva lo spirito del confronto dialettico e l’elaborazione, senza i quali il sindacato può solo diventare polizza assicurativa, opportunismo spesso malcelato, consociativismo spartitorio, mediazione al ribasso.

Partecipare, confrontarsi, sviluppare ragionamenti convergenti, agire in modo unitario e compatto, non è un automatismo biologico, richiede impegno, motivazione, fatica. Ma sono solo questi gli ingredienti di una politica del lavoro e di una elaborazione sindacale sana e produttiva.

Viviamo una fase altamente critica, aggravata da una pandemia che ha ulteriormente ridotto gli spazi del confronto.

C’è, nel panorama politico un problema di fondo che ricompare a distanza di quasi un secolo e possiamo sintetizzare in questa definizione vecchia appunto di un secolo: “il vecchio muore e il nuovo non può nascere e in questo in terreno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. La farsa dell’elezione del Presidente della Repubblica ne è stata l’ultima triste rappresentazione.

Se la maggioranza degli elettori non si sente rappresentata dai propri eletti, che infatti vengono predeterminati dalle segreterie dei partiti, gli elettori si ritirano dalla partecipazione democratica o si rivolgono frustrati a forme più radicali di protesta e danno voce ai predicatori dalla soluzione facile in uno scenario politico impaurito e sostituito dallo scenario mediatico.

In buona sostanza vediamo che il dibattito parlamentare e politico scompare e i talkshow costruiscono uno scenario e un agire che non sono dichiaratamente antidemocratici ma che sono sostanzialmente a-democratici.

In questo scenario globale, almeno nel nostro paese sarà opportuno conservare alcune isole di democrazia partecipata. Una di queste isole è la negoziazione dei contratti di lavoro.

Sarebbe un grave errore che Governo e Regioni ritenessero di esercitare una sorta di dirigismo in questo campo che conserva una tradizione di interdipendenza negoziata tra datore e lavoratore, tra impresa e lavoro, tra pubblica amministrazione e dipendente.

Gli spazi di libertà e autonomia sono sempre più ristretti e bisogna allargarli o quanto meno difenderli. Siamo tutti risparmiatori e quindi inconsciamente azionisti e siamo tutti illusi che il nostro risparmio gestito ci renda liberi da ansie e necessità, in realtà ci allea altrettanto inconsciamente con i padroni del nostro destino, coloro che grazie alla nostra inerzia possono decidere le regole e il gioco stesso.

Il caso del “buyback” può essere educativo: le maggiori aziende mondiali e nazionali hanno sperimentato che si fanno più soldi comprando le proprie azioni affinché si impenni il loro valore, che investendo le stesse risorse in innovazione sviluppo e creazione di lavoro.

In caso di colossali crisi, svelate dallo scoppio delle bolle speculative, c’è sempre l’intervento statale a ripianare a spese dei contribuenti (solo quelli fiscalmente imputabili) e delle loro generazioni future.

Il nostro unico potere per rivendicare diritti e legittimare la nostra influenza nelle strategie di ogni ordine e grado è sito nell’elaborazione teorica e nell’agire politico che sapremo realizzare e perseguire.

Lo abbiamo fatto per 60 anni. Lo faremo ancora!

Aldo Grasselli
Segretario Nazionale




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