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09 luglio 2019

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Veterinaria pubblica, una crisi annunciata che fa male a tutti – intervista ad Aldo Grasselli

Veterinaria pubblica, una crisi annunciata che fa male a tutti – intervista ad Aldo Grasselli

Entro il 2025 andrà in pensione il 40% dei veterinari dirigenti delle Asl. Con un impatto critico sulla salute animale e umana, ma anche su tutta la filiera agroalimentare. Parla Aldo Grasselli, presidente della Federazione veterinari medici e dirigenti sanitari (Fvm). Dall’ultimo numero di AboutPharma Animal Health – trimestrale nato da poco che affronta temi di politica, economia, legislazione, scienza, ricerca e mercato riferite al settore della salute animale secondo l’approccio “One health” e che si rivolge a istituzioni pubbliche, mondo accademico, veterinari, esperti di produzione animale, allevatori e industria

Se va in crisi la veterinaria pubblica, paghiamo tutti. Pagano un prezzo salato le politiche di prevenzione, la salute degli animali e quella dell’uomo. E anche tutta la filiera agroalimentare, vanto e risorsa dell’economia italiana. Entro il 2025 andrà in pensione il 40% dei veterinari dirigenti delle Aziende sanitarie locali e la carenza di professionisti metterà ancora a dura prova questo fondamentale “pezzo di sanità” pubblica, già martoriato da tagli e scelte di programmazione giudicate miopi. Ne abbiamo parlato con Aldo Grasselli, presidente della Federazione veterinari medici e dirigenti sanitari (Fvm).

Partiamo dalle definizioni. Qual è il ruolo dei veterinari pubblici nelle Asl e negli Istituti zooprofilattici sperimentali (Izs)?

I servizi veterinari delle Asl sono l’espressione specialistica della medicina veterinaria preventiva. Sono articolati in tre discipline autonome la Sanità animale, l’Igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche e l’Igiene degli alimenti di origine animale. Ciascuna di queste branche specialistiche è a sua volta suddivisa in ulteriori declinazioni di alta specializzazione imposte dalla popolazione animale che è sottoposta a monitoraggio o controllo, sia essa selvatica, allevata a scopo zootecnico o detenuta per attività sportive o per affezione. Ciascuna delle specie allevate poi produce alimenti che seguono filiere tecnologicamente e commercialmente molto articolate e complesse, che richiedono competenze sempre più vaste e saperi di elevata rilevanza scientifica. Oggi ad esempio si allevano quasi tutte le specie ittiche che vediamo sui banchi dei mercati. Il latte è una materia prima che si trasforma in centinaia di prodotti dal Grana allo yogurt. A ogni strategia di controllo per prevenire rischi alla popolazione animale e ai consumatori segue poi un’attenta e spesso sofisticata analisi di laboratorio che effettuano specialisti veterinari degli Izs.

Il “depotenziamento” dei servizi veterinari da parte di Regioni e Asl è ormai una un fatto conclamato. Molti dirigenti veterinari andranno in pensione e non saranno sostituiti. Siete preoccupati?

La crisi che ha investito il Ssn, frutto di scelte di programmazione e di taglio della spesa profondamente sbagliate, sta mettendo a dura prova tutti i dipartimenti di prevenzione. Un recente confronto tra le società scientifiche di medici veterinari, medici igienisti e medici del lavoro ha fatto registrare le stesse preoccupazioni. Per i servizi veterinari la crisi arriverà nel prossimo quinquennio. Entro il 2025 andrà in pensione circa il 40% degli attuali veterinari dirigenti. È una importante per iniettare energie e saperi nuovi nelle Asl e negli Izs. Se le Regioni non sapranno comprendere quanto sia strategico avere servizi veterinari adeguati alle criticità future, temiamo che il nostro Paese – passerella del Mediterraneo – potrebbe diventare terreno di patologie animali molto gravi quali l’afta epizootica che se non arrestate al primo focolaio possono costare molto care all’economia italiana. Essere il Paese del “food di alta gamma” e non poterlo esportare per mesi o anni sarebbe un suicidio. Chi fa politica dovrebbe sapere che “tutto si tiene”. Se non si considerano fattori cruciali come la salute animale, può scappare di mano l’intero comparto agro alimentare. I servizi veterinari servono a garantire che questo comprato economico non subisca crisi. Per questo motivo negli altri Paesi Ue i servizi veterinari sono dislocati nei ministeri dell’agricoltura dove c’è molta attenzione a promuovere la produzione. Noi italiani rivendichiamo la collocazione dei servizi veterinari nel campo sanitario, ma spesso chi governa le Regioni dimentica a cosa servono e quanto fanno risparmiare.

Dunque qual è oggi lo “stato di salute” della veterinaria pubblica?

La veterinaria pubblica non ha mai goduto di tanta importanza a livello mondiale come in questi anni di globalizzazione dei commerci e degli scambi di merci e di conseguenza dei rischi per la salute animale e umana. In Italia sembra che si tenda spesso a enfatizzare l’azione repressiva dei Nas e di altri organi di polizia giudiziaria (il sequestro di 30 kg di cozze avariate va in tv) dimenticando il lavoro quotidiano di oltre 7000 veterinari (tra dirigenti e specialisti ambulatoriali) che presidiano tutte le filiere agro-zootecnico-alimentari 365 giorni l’anno.

Qual è l’impatto di una veterinaria pubblica “depotenziata” sulla salute animale o dei cittadini?

Un impatto molto concreto in riduzione della attuazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea). Lo Stato con i Lea promette ai cittadini un certo livello di protezione e poi non finanzia il Livello essenziale di organizzazione (Leo) necessario per ottenere i Lea. In medicina veterinaria pubblica non esistono le liste d’attesa come in umana, esiste però una minore capacità di presidiare i rischi. Laddove si è eradicata una patologia animale la si vedrà ricomparire, laddove il randagio è stato contenuto e superato ricomparirà. Insomma si torna indietro rispetto ai grandi successi di questi anni.

Quali conseguenze per la prevenzione e i controlli?

È sempre una questione di equilibri. I pericoli esistono e persistono nei secoli indipendentemente da come organizziamo il Ssn. Se si vuole un livello di alta garanzia occorrono interventi preventivi adeguatamente frequenti. Se si diradano le attività di sorveglianza, vigilanza, monitoraggio i rischi aumentano. Siccome il rischio è inversamente proporzionale alla conoscenza meno informazioni possediamo più siamo esposti a crisi.

Anche le azioni di contrasto all’antimicrobico- resistenza ne risentono? In che modo la veterinaria pubblica contribuisce a combattere il fenomeno?

L’antimicrobico resistenza è un paradigma. Se siamo consapevoli della sua importanza non possiamo pensare di combatterla con metodi tradizionali e poco incisivo. La straordinarietà del problema imporne strategie aggressive e coordinamento di professionalità, in particolare tra medici veterinari pubblici e medici veterinari liberi professionisti. Un tema da chiarire sarebbe quello di “controllori e controllati”. Una trentina di anni fa la parte libero professionale della veterinaria riteneva illegittimo che chi fa i controlli (i veterinari pubblici) esercitasse la libera professione. Oggi si sente dire che i liberi professionisti possono fare i controlli ufficiali. La morale cambia con il tempo? Tutto si può pensare, ma mettere la volpe a guardia del pollaio a volte non funziona.

Sulla veterinaria pubblica è in corso un dialogo con il Governo?

Siamo in una fase di turbolenza legislativa. Il Governo ha raccolto alcune nostre indicazioni rispetto alla possibilità, in carenza di specialisti, di assumere veterinari all’ultimo anno di specializzazione e ha compreso la necessità di riservare un percorso specifico per la nomina dei direttori degli Izs chiedendo tra i requisiti una competenza specifica in materia di sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare. È un buon inizio, ma ci aspettiamo soprattutto di essere coinvolti nella elaborazione del nuovo Patto per la Salute.