Rassegna Stampa
20 luglio 2020
Tra gli allevatori di animali proibiti in Cina
Fonte: internazionale.it
A Pan Mei, 37 anni, la carne di istrice piace bollita: il sapore si mantiene e la pelle si ammorbidisce. Suo marito Wang Haouzhu, 35 anni, non è d’accordo. L’istrice è buono soprattutto arrostito, così diventa croccante. “Come l’anatra alla pechinese, ma più gustoso”. Wang si accende un’altra sigaretta e incrocia i piedi scalzi standosene seduto sul comodo divano di pelle. L’aria condizionata rinfresca il piccolo ufficio. Siamo solo a maggio, ma nella provincia meridionale di Guangdong fa già parecchio caldo. Poco lontano dalle rive del Dong, un affluente orientale del fiume delle Perle, si stende la valle verde in cui Wang e Pan allevano i loro istrici.
“Haouzhu” non è il vero nome dell’allevatore. Significa “istrice” ed è così che lo chiamano i compaesani. Wang catturò il primo a soli vent’anni. Oggi ne ha trecento e rifornisce decine di contadini della zona. Non in questo periodo, ovviamente. Da quando il nuovo coronavirus ha cominciato a diffondersi a partire da un mercato di Wuhan, gli istrici figurano su una lista di animali selvatici la cui carne è proibita.
Un’ipotesi sull’origine della pandemia è che un pipistrello abbia trasmesso il virus a un animale poi venduto al mercato. Da allora sono stati chiusi quasi ventimila allevamenti di specie come pavoni, viverre, istrici e cinghiali.