Rassegna Stampa
23 giugno 2019
La prima volta di un cinese alla Fao, eletto Qu Dongyu
Fonte: Ansa
Pechino ce l’ha fatta. E con una maggioranza consistente Qu Dongyu è diventato direttore generale della Fao.
Il primo cinese e primo esponente di un Paese comunista a salire al vertice dell’agenzia delle Nazioni Unite ha sconfitto con 108 voti una rivale agguerrita come la francese Catherine Geslain-Lanéelle – candidata dell’Unione europea – che ha ottenuto 71 voti e l’outsider georgiano Davit Kirvalidze, che ha raccolto 12 preferenze. Un solo Paese si è astenuto nell’elezione, che è a voto segreto.
“E’ una data storica”, ha dichiarato a caldo il neo direttore, 55 anni, biologo e vice ministro dell’Agricoltura, sottolineando che farà di tutto per essere “imparziale e neutro” nel corso del suo mandato che durerà fino al 2023. Storica lo è di certo, e non tanto per il dato formale della prima volta. Con la vittoria di oggi la Cina infligge una sonora sconfitta all’Europa e agli Usa e occupa una poltrona strategica, non solo per la lotta alla fame.
Da quell’edificio voluto da Mussolini per ospitare il ministero per l’Africa italiana, Pechino può avere un’enorme e aggiuntiva influenza proprio in Africa, dove ha già una presenza consolidata da massicci investimenti e in via di ulteriore rafforzamento grazie alle infrastrutture promesse dalla Belt and Road Initiative.
Il pressing sui Paesi africani, oltre che su molti latino-americani, ha fruttato a Qu un bel numero di voti, che si sono aggiunti a quelli di tutta l’area asiatica che ruota intorno a Pechino e a quelli di chi, in ordine sparso, vede nella Cina una sponda assai più solida di quella dell’Ue.
L’Italia ha mantenuto un riserbo assoluto sulla sua scelta: da Paese ospite della Fao, non ha voluto sbilanciarsi. Dopo le indiscrezioni dei giorni scorsi che hanno attribuito alternativamente a Palazzo Chigi simpatie per il candidato cinese e doveri di disciplina nei confronti dell’Europa, da fonti informate si è appreso che Roma alla fine avrebbe votato per la candidata francese. Di ufficiale sono arrivate solo le “congratulazioni” del premier Giuseppe Conte al neo eletto e la disponibilità a “lavorare a stretto contatto per affrontare le nostre sfide comuni”. “Siamo soddisfatti di questo risultato che ha decretato l’elezione al primo scrutinio” di Qu Dongyu, ha detto invece il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio, che ha ricordato “il rapporto di amicizia” e i “recenti accordi bilaterali” tra Italia e Cina.
Ma la sconfitta della candidata francese, prima donna in corsa per la carica e reduce da una durissima campagna elettorale che l’aveva portata a controverse aperture nei confronti degli Stati Uniti su dossier sensibili come quello degli Ogm, segna uno smacco per l’Europa. Deslain-Lanéelle si era detta certa del sostegno compatto dei 28 ma non aveva fatto riferimenti a quanta breccia avesse fatto il suo approccio, anche politicamente multilaterale, che – nella missione a Washington del 15 maggio scorso – metteva l’accento sull’importanza di una prospettiva globale che non rispecchiasse solo il punto di vista europeo, o peggio solo francese, sulle scelte per un’agricoltura sostenibile e una lotta alla fame compatibile con le tematiche ambientali. Proprio sulla vocazione multilateralista di un organismo come la Fao, l’elezione di Qu Donyu apre qualche interrogativo.
La fedeltà al Partito-Stato di diplomatici e funzionari cinesi, come è noto, è assoluta. E la difesa dei propri interessi pure. Saranno i prossimi mesi a riempire di significato le sue parole di “gratitudine per la madrepatria” e di fedeltà alla mission della Fao da parte della Cina che ne segue “le regole”.