Rassegna Stampa
31 luglio 2019
Gli allevamenti intensivi sono i più sostenibili
Fonte: informatorezootecnico.edagricole.it
Dalla metà degli anni ’60 ad oggi, cioè passando dall’estensivo all’intensivo, le emissioni di metano e di ammoniaca si sono notevolmente ridotte
Gli allevamenti intensivi sono entrati nel mirino della pubblica opinione perché accusati di tutti i mali: alti impatti ambientali, maltrattamento degli animali, uso sconsiderato di farmaci, condizioni di lavoro impossibili per gli operatori. Tratterò in questo editoriale il tema della relazione fra intensità di allevamento e impatto ambientale.
Innanzitutto, cos’è un allevamento intensivo? È un’impresa zootecnica ad alta intensità di capitale per cui identificare intensivo con concentrato non è corretto.
Ad esempio, un allevamento plein air con applicate alte tecnologie che richiede per unità di prodotto elevati investimenti e bassi costi del lavoro, è un allevamento capital intensive in cui gli animali sono allevati in grandi spazi; viceversa, un allevamento familiare, con bovine alla catena ma con bassi investimenti e alta incidenza del lavoro sul prodotto finito, è capital extensive, anche se gli spazi per animale sono limitati.
Di norma, però, gli allevamenti intensivi concentrano grandi popolazioni di animali in spazi ridotti, per cui le tecniche di controllo degli effluenti di allevamento diventano parte essenziale del ciclo (e del costo) di produzione. Ma sotto il profilo degli impatti per unità di prodotto, questi allevamenti sono più razionali, sempre a patto che si pratichi una gestione oculata dei liquami e delle lettiere.
Pochi numeri chiariranno il concetto iniziando dal metano. Questo gas prodotto prevalentemente dalle fermentazioni ruminali ha un effetto serrigeno pari a 25 volte la CO2 (1 kg di metano = 25 kg di CO2equivalente) e rappresenta il maggior impatto ambientale degli allevamenti.